sabato 12 luglio 2014

#La nostra storia - 20 lines

Vi voglio regalare un'altra storia scritta per 20lines. Questa sono io, o meglio, una parte di me.... Dopo la brutta separazione da mio marito non mi rimanevano forze se non per una vacanza rilassante. Così quando mi trovai in quella spiaggia sperduta ne fui solo che felice. L'ostacolo nel non parlare la lingua non era tale in realtà perché volevo starmene per i fatti miei e basta. Una mattina, mentre ero intenta a prendere il sole sul lettino mi ritrovai per terra nel giro di un battito di ciglia, travolta da qualcuno che non avevo nemmeno visto. Mi chiese qualcosa nella sua lingua, anche se non capii il mio subconscio riconobbe la voce. Quando riuscii a tirarmi su non senza un aiuto da parte dello sconosciuto lo riconobbi subito: il mio idolo, il mio cantante preferito era lì in piedi di fronte a me. Era vero che non capivo la sua lingua ma il timbro della voce e la musica che l'accompagnava mi facevano venire i brividi. Lo salutai nella mia lingua e con mia sorpresa scoprii che mi capiva. Fu un attimo, ci mettemmo a parlare e le ore passarono. Mi chiese se volevo cenare con lui, non fu una sorpresa per nessuno dei due il mio sì quasi urlato. Ero nervosa ed eccitata come una ragazzina al suo primo appuntamento. Quando lo vidi mi parve un dio, era semplicemente perfetto. Dovetti fare un'ottima impressione anch'io perché non mi staccò gli occhi di dosso per tutto il tempo. Arrivati al ristorante mi mise possessivamente una mano dietro la schiena, quando ci sedemmo la sua mano incontrò la mia sotto il tavolo, la strinse e la portò delicatamente alle labbra. Si accese un fuoco tra di noi. Sapevamo entrambi come sarebbe finita la serata ma l'attesa era così carica di promesse che decidemmo di prolungarla. Fu riconosciuto al ristorante, gli chiesero autografi e foto; una fan più sfacciata gli chiese chi fossi io (almeno così mi parve visto che mi indicò) non capii la risposta ma dall'espressione della ragazza intuii che non le piacque affatto. Giungemmo alla fine della cena i miei sensi erano così accesi che sentivo il mio cuore battere all'impazzata contro il mio petto. I suoi occhi erano magneti, le sue mani erano giochi indecenti. Non potevamo attendere oltre. Raggiungemmo la mia stanza e la passione divampò. Finalmente nudi e liberi da qualsiasi inibizione, due estranei attratti l'uno all'altro da una forza più grande di loro. Ci consumammo: le labbra divoravano, i denti mordevano, i fianchi smaniosi sbattevano l'uno contro l'altro. Finivamo e dovevamo iniziare di nuovo. Non ci bastava mai, era troppo e troppo poco. L'estasi era ogni volta maggiore e mai sufficiente. Le mani non riuscivano a stare ferme, la lingua voleva assaggiare ancora e ancora. La mattina ci trovò ansimanti e abbracciati. Mi voltai a guardarlo e nei suoi occhi intravidi i miei stessi pensieri: com'era possibile essere così vicini? Che cos'era questo sensazione nel petto? D'improvviso si mise sopra di me e mi baciò; un bacio lento e sensuale che sembrava adorarmi. Mi fece sua con dolcezza e fu questo a spingermi nel baratro. I successivi quindi giorni furono perfetti, eravamo sempre insieme per parlare e per fare l'amore. Mi trasferii a casa sua per tutto il periodo della mia vacanza. Non parlammo mai di come ci saremo comportati al momento dell'addio. Io avevo troppa paura di spingermi in un'altra relazione stabile. Lui aveva paura di chiedere un cambiamento radicale della mia vita. Arrivò il giorno della partenza. Non piansi. Preparai le valigie con una cura quasi ossessiva mentre lui mi guardava con un'espressione indecifrabile sul viso. Credo di non averlo mai visto così bello. Era chiaro che voleva dirmi qualcosa ma avevo il terrore di chiedere. Se mi fossi sbagliata e avessi frainteso i suoi sentimenti nei miei confronti avrei provato il dolore vero da cui non mi sarei mai più ripresa. Rimanemmo in silenzio sino all'aeroporto. Le mie mani tremavano, i miei occhi minacciavano di tradirmi riempendosi di lacrime. Lo guardai e gli dissi di andarsene, il check in era fatto e non avrebbe potuto accompagnarmi più in là. Mi diede un casto bacio sulla guancia e se ne andò e con lui il mio cuore. Non appena mi sedetti le lacrime iniziarono a sgorgare, erano silenziose e amare. Potevo cercare di vedere il lato positivo: erano stati in assoluto i quindici giorni più belli di tutta la mia vita, ma sarebbe bastato il loro ricordo? Sarei riuscita ad ascoltare la sua voce senza pensare a quando a letto cantava per me? Avrei dovuto rinunciare a tutto di lui? O con il tempo sarei guarita? No, non potevo guarire da lui. Tornata alla vita di tutti i giorni mi buttai a capo fitto sul lavoro. Meno pensavo e meglio stavo. Qualche uscita con amici poco cibo e molto alcool. Finché il fisico avesse retto sarei andata avanti così. Non ascoltai più le sue canzoni. Lessi del suo nuovo album, lessi che scrisse una canzone nella mia lingua ma non andai oltre. Faceva troppo male. Per il mio compleanno gli amici mi regalarono il biglietto per il suo concerto. Feci finta di nulla ma non ci andai. E come avrei potuto? Una domenica mentre ero intenta a bere il caffè del mattino suonarono alla porta. Era lui, stravolto e con gli occhi tristi. Mi afferrò per le spalle e mi spinse contro la parete. La sua bocca fu sulla mia e ci perdemmo. Non esisteva più nulla eccetto noi che diventammo una cosa sola di nuovo e ancora. Mi disse che non aveva mai voluto me ne andassi ma che, vedendomi così risoluta, aveva pensato di aver frainteso i miei sentimenti. Aveva scritto una canzone per me però, non l'avevo ascoltata? No, gli risposi. Dopo la mia partenza mi ero rifiutata di ascoltare la sua bellissima voce. Ci amammo per tutto il giorno consci solo del nostro amore. Finalmente pronunciammo le due parole fatali: ti amo. Ci condannammo consciamente. Lasciai il lavoro, la casa e salutai gli amici. La mia vita era con lui in qualsiasi parte del mondo. Fummo nominati la coppia più bella e affiatata nel mondo della musica. Conducevamo vita ritirata, non ci piaceva il jet set. Per questo quando il paparazzo mi vide che uscivo da un negozio quasi al termine della gravidanza si levò un boato in tutte le testate giornalistiche. Con la bambina appena nata non potei seguirlo durante l'ultima tappa del tour nella capitale. Quando la mattina lo vidi al telegiornale seminudo insieme a una sua fan le gambe mi cedettero di colpo. Non so come ma riuscii ad arrivare in bagno e vomitai. La tata che era con me portò la bambina nella sua stanza e mi stette vicino fino a quando non si aprì la porta di casa. Era trafelato, voleva sapere cosa avessi visto e se qualche giornalista mi avesse contattato. Non gli risposi. Gli sputai in faccia e mi chiusi a chiave nella camera della bambina. Non mi seguii, mi urlò dietro che avrebbe chiarito la faccenda. La mattina successiva trovai un biglietto sotto la porta: era uscito ma sarebbe ritornato con tutte le prove di cui pensava avessi bisogno. Un tarlo mi rodeva in testa ma non capivo cosa fosse. Accesi la televisione sperando che mandassero in onda quella famosa scena e così fu: ecco la nota stonata. La fan era la stessa del ristorante e lui aveva in mano una bottiglia di birra. Ma lui non beveva birra, mai. Gli mandai un messaggio chiedendogli di tornare a casa. Non appena varcò la soglia gli corsi incontro e lo baciai: doveva capire che gli credevo a prescindere da quello che potesse dirmi. Venne fuori che dopo il concerto la fan si era intrufolata nel camerino e l'aveva drogato. Dopo si era fatta una foto con lei a cavalcioni e l'aveva spedita a tutti i giornali. Il problema era che la pazza era introvabile. Assunse delle guardie del corpo, annullò tutti i suoi impegni. Vivemmo nella paura per un mese. Una mattina, anche se perfettamente conscia del pericolo, decisi di andare a fare una nuotata. Uscita dall'acqua la trovai di fronte a me intenta a puntarmi addosso una pistola. Rimasi immobile. Non mi passò tutta la vita davanti. Dentro di me crebbe la rabbia, una rabbia cieca che cercai di non far trasparire. Si avvicinò decisa a insultarmi e a buttare fuori parole di veleno. Lui era suo ed io glielo avevo portato via. Volevo sapere cosa le rispose al ristorante? Le disse che io ero il suo amore. Da allora mi aveva odiato. Mi disse che le avevo portato via non solo lui ma anche sua figlia, strappandogliela dal ventre e facendo credere a tutti che fosse mia. Mi costrinse a mettermi in ginocchio. Non so se fu la rabbia o una fredda determinazione a non perdere tutto ciò che amavo, ma reagii. Aspettati che si avvicinasse di più e poi le tirai un calcio alla caviglia. Perse l'equilibrio e la pistola. Mi gettai su di lei e iniziai a colpirla. Solo quando giunsero le guardie del corpo strappandomi via da lei realizzai che l'avevo quasi uccisa. Chiamammo la polizia, ovviamente mi portarono con loro. Fecero tutti gli accertamenti del caso. Ci fu un'inchiesta e si arrivò al processo. Si concluse con un anno di lavori socialmente utili per me e quindici anni di reclusione per lei. Se possibile tutto questo ci fece innamorare ancora di più. Lui capii che ero forte e pronta a difendere la nostra famiglia con le unghie e con i denti, io capii che lui mi amava sopra ogni cosa e che mai mi avrebbe fatto del male. Trascorremmo anni meravigliosi insieme ai nostri figli e dopo insieme ai nostri nipotini. L'amore che ci aveva trovato quell'estate di tanti anni fa crebbe insieme a noi. Quando lui morì capii che senza di lui non potevo esistere. Per questo ho scritto la nostra storia. Questa è la testimonianza del nostro amore. Non siate tristi ragazzi miei. L'anima non può rimanere a lungo separata dalla sua essenza.

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